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2007
Il Bunker di Ballantini
di Antonio Ricci
Quando Ballantini prepara un personaggio da imitare, per prima cosa usa come specchio un foglio di carta. Disegna minuziosamente il volto e poi lo guarda e lo riguarda come se con la riflessione insieme alle forme volesse impadronirsi dell'anima. Doppio, multiplo di se' stesso, invasato, posseduto e possessore, fosco e candido, inquietante sempre. L’angoscia della morte che necessariamente e inconsciamente provoca l'apparizione del Doppio non sempre riesce ad innalzarsi al consapevole livello dello humor. Spesso personaggi originali si suicidano nella superficie riflessa del Nostro. Mi sono trovato ad osservare i quadri di Ballantini con la stessa attenzione morbosa con cui si guarda un incidente stradale: un occhio impotente per vedere, in mezzo ai rottami, come i feriti riescono a venir fuori. Sulle sue tele occhi, mani, bocche, facce incomplete, fricassea di un'umanita' determinata sotto un sole sempre malato. I quadri sono luminosi, ma di una luce livida, artificiale, fredda. Ballantini sembra uno di quelli che di notte van per tetti e poi si siedono sul cornicione e non sai se son li' per veder le stelle o son li per buttarsi giu', sperando poi le stelle di vederle piu' da vicino. Non mi ha stupito quando Ivano Fossati lo ha scelto per dipingere la scenografia dei suoi concerti, perche' anche Ivano ha passato la vita a truccarsi da "per niente facile" e per difendere la sua parte piu' sensibile e segreta si e' costruito una corazza con strati di versi e di note. Nelle ultime opere, pero', Ballantini sembra dubitare della linea "mi faccio male da solo prima che me lo facciano gli altri", il gesto e' piu' libero, piu' sciolto, le maglie si stanno come allentando, nel bunker comincia ad aprirsi qualche crepa di felicita'.