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Critiche
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02 aprile 2021
Dario Ballantini. Vedi alla voce "espressionismo cosmico"
di Giovanni Faccenda
Dipingere, per taluni, è scendere in quei luoghi più remoti e umbratili di se stessi dove transitano, fugaci, mente, memoria, cuore e anima. È, dunque, un viaggio introspettivo foriero di scoperte e sentimenti mutevoli, di abbandoni e di idilli, ma anche di ansie, inquietudini e lacerazioni.
La pittura diventa così uno specchio, di più, un caleidoscopio, anche per Dario Ballantini. E ancora - per usare parole di Kafka - un coltello, acuminato, con il quale frugare dentro sé e chiunque altro, nelle pieghe contraddittorie del mondo e degli accadimenti che scandiscono ogni differente, incerta esistenza.
È, allora, uno sguardo - e piuttosto un ascolto - orientato verso grida silenziose, torridi inverni - ossimori, questi, eloquenti quanto emblematici - che non conoscono primavere, ma giorni corti e bui che si spengono, nella noia e nella monotonia, a ogni nuovo loro sorgere.
Colori come stati d'animo, nel lavoro di Ballantini, suggellano un espressionismo cosmico dal sapore leopardiano, nel quale l'autore è, a un tempo, sé, altro e altri ancora. Noi tutti, insomma.
Pregio non ultimo di questo esercizio espressivo, colmo di echi interiori e subliminali, è infine quello di affermare, senza rinunciare al beneficio del dubbio; di interrogare e interrogarsi, talora di rispondere e rispondersi - per il tramite della pittura –, ad alcuna di queste domande, con risultanze persino terapeutiche. Fino a far risorgere quell' io esiliato per convenzioni e consuetudini, interessi e intese sociali, che mai, al contrario, dovremmo immolare a una realtà matrigna, soltanto apparente.
 
Venezia, aprile 2021.