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2009
Visioni sommerse
di Alessandro Parrella
Albenga da sempre nella mia mente l'immagine di livorno che, come una piccola Lisbona, fomenta la sensibilita' di alcuni eletti verso una ricerca superiore, magica ed impalpabile.
Un vortice di pensiero, un tormento creativo, un fertile germe che ha spinto uomini come Mascagni e Modigliani verso inaccessibili traguardi artistici.
Penso alla dinamica forza vitale del mare o all'immortal desìo che come vento di costa soffia sul fuoco delle nostre virtu' inferiori, a quella maledetta voglia di rifuggire i canoni classici dei macchiaioli che e' stata partendo dalla fine del diciannovesimo secolo croce e delizia di audaci pittori.
Poteva Dario Ballantini, livornese puro, sfuggire al richiamo di tali sirene tanto piu' che dalla sua famiglia ereditava l'estro di un nonno attore, di uno zio post-macchiaiolo e di un padre stimato pittore neorealista degli anni sessanta?
Sara' proprio l'insoddisfazione nel non vedere completato il coraggioso percorso pittorico paterno a far germogliare nel giovane Dario quell'ansia creativa che, a piccoli passi, svelava un destino gia' segnato.
Un fato che, come per modigliani, lo ha visto muovere i primi pssi ai margini della pittura. Una dea bendata pero' che nel contempo cominciava a donargli grande fama come imitatore.
"Disegnare e possedere" scriveva il pittore Osvaldo Licini nel 1934 e non a caso ballantini ama creare un ritratto, una caricatura dl personaggio da imitare in fieri per poter entrare dentro quella forza invisibile, materiale e a volte immortale che e' l'essenza il nucleo della psiche della personalita' del soggetto studiato.
Ergo non possiamo in maniera alcuna scindere l'essere dalle proprie diverse anime creative perche' le stesse si compenetrano formando un centro di origine, un "Omphalos" primordiale, da cui germoglia l'estro che irradia tuttoil suo poliedrico universo artistico, anche se scendendo nel cuore della sua produzione pittorica scopriamo la vera indole dell'uomo, del pittore.
"Io resto solo a consumarmi nell'oscurita' mentre il sole spoglia il mondo della luce" scriveva michelangelo in un sonetto. E' questa la chiave per svelare la pittura di Ballantini entrando con circospezione nella sua travagliata produzione, volta ad esprimere una idea senza per questo ricercare un dialogo a tutti i costi.
Ombre, voli, figure, in un arcano scenario dove le costruzioni sono il tempio di uno stato interiore, icone di un Universo che e' la nostra emotivita' dove i pensieri si perdono nelle nostre paure. Facciate come maschere di apparenza paiono sovrastare l'anima delle figure, ma sono costruzioni prive di tetti, per questo impossibilitate ad esprimere una coscienza, una ragione.
Penetranti iati di inquietudine, enfatizzati dalla stessa pittura che alimenta le ansie piu' che combatterle, dai quali possiamo fuggire o che possiamo vincere con la logica, con la nostra potenza interiore per costruire scientemente la nostra psiche, il nostro microcosmo nella societa'.
Ci appaiono cosi' le "Visioni Sommerse" di Dario Ballantini dove la forza visiva e' lo specchio della mente, dell'intelletto.
L'occhio, spesso ben marcato a guisa di pianto geroglifico, e' la guda assoluta per vincere tutte le angosce.
Avremmo cosi' un occhio sole ed un occhio luna che con ardore taoista ci condurranno in quelle riflessioni sommerse da quel mare dinamico, dove tutto scorre e dove tutto torna, che e' il nostro cuore.
I colori giocano col segno contribuendo ad evidenziare la carica espressionista delle opere.
Vividi rossi danzano insieme alle terre, ai blu ed ai grigipalesando quanto Ballantini abbia ben compresole teorie kandinskijiane sulla spiritualita' dei colori.
Tovo altresi' stupefacente la vena del pittore nell'utilizzo dei gialli.
Questo colore aperto e centrifugo per eccellenza viene invece spesso utilizzato come frontiera, limite assoluto di un concetto. La mente corre a Paul Klee, a Nicolas de Stael o alla incredibile abilita' di Vincent Van Gogh nell'utilizzo dei verdi. Parimenti Ballantini ci trascina con il suo talento estrapolando l'espansivita' del giallo, intensa e violenta come una colata di metallo fuso, per farne preciso confine ai propri pensieri.
Un vortice di pensiero, un tormento creativo, un fertile germe che ha spinto uomini come Mascagni e Modigliani verso inaccessibili traguardi artistici.
Penso alla dinamica forza vitale del mare o all'immortal desìo che come vento di costa soffia sul fuoco delle nostre virtu' inferiori, a quella maledetta voglia di rifuggire i canoni classici dei macchiaioli che e' stata partendo dalla fine del diciannovesimo secolo croce e delizia di audaci pittori.
Poteva Dario Ballantini, livornese puro, sfuggire al richiamo di tali sirene tanto piu' che dalla sua famiglia ereditava l'estro di un nonno attore, di uno zio post-macchiaiolo e di un padre stimato pittore neorealista degli anni sessanta?
Sara' proprio l'insoddisfazione nel non vedere completato il coraggioso percorso pittorico paterno a far germogliare nel giovane Dario quell'ansia creativa che, a piccoli passi, svelava un destino gia' segnato.
Un fato che, come per modigliani, lo ha visto muovere i primi pssi ai margini della pittura. Una dea bendata pero' che nel contempo cominciava a donargli grande fama come imitatore.
"Disegnare e possedere" scriveva il pittore Osvaldo Licini nel 1934 e non a caso ballantini ama creare un ritratto, una caricatura dl personaggio da imitare in fieri per poter entrare dentro quella forza invisibile, materiale e a volte immortale che e' l'essenza il nucleo della psiche della personalita' del soggetto studiato.
Ergo non possiamo in maniera alcuna scindere l'essere dalle proprie diverse anime creative perche' le stesse si compenetrano formando un centro di origine, un "Omphalos" primordiale, da cui germoglia l'estro che irradia tuttoil suo poliedrico universo artistico, anche se scendendo nel cuore della sua produzione pittorica scopriamo la vera indole dell'uomo, del pittore.
"Io resto solo a consumarmi nell'oscurita' mentre il sole spoglia il mondo della luce" scriveva michelangelo in un sonetto. E' questa la chiave per svelare la pittura di Ballantini entrando con circospezione nella sua travagliata produzione, volta ad esprimere una idea senza per questo ricercare un dialogo a tutti i costi.
Ombre, voli, figure, in un arcano scenario dove le costruzioni sono il tempio di uno stato interiore, icone di un Universo che e' la nostra emotivita' dove i pensieri si perdono nelle nostre paure. Facciate come maschere di apparenza paiono sovrastare l'anima delle figure, ma sono costruzioni prive di tetti, per questo impossibilitate ad esprimere una coscienza, una ragione.
Penetranti iati di inquietudine, enfatizzati dalla stessa pittura che alimenta le ansie piu' che combatterle, dai quali possiamo fuggire o che possiamo vincere con la logica, con la nostra potenza interiore per costruire scientemente la nostra psiche, il nostro microcosmo nella societa'.
Ci appaiono cosi' le "Visioni Sommerse" di Dario Ballantini dove la forza visiva e' lo specchio della mente, dell'intelletto.
L'occhio, spesso ben marcato a guisa di pianto geroglifico, e' la guda assoluta per vincere tutte le angosce.
Avremmo cosi' un occhio sole ed un occhio luna che con ardore taoista ci condurranno in quelle riflessioni sommerse da quel mare dinamico, dove tutto scorre e dove tutto torna, che e' il nostro cuore.
I colori giocano col segno contribuendo ad evidenziare la carica espressionista delle opere.
Vividi rossi danzano insieme alle terre, ai blu ed ai grigipalesando quanto Ballantini abbia ben compresole teorie kandinskijiane sulla spiritualita' dei colori.
Tovo altresi' stupefacente la vena del pittore nell'utilizzo dei gialli.
Questo colore aperto e centrifugo per eccellenza viene invece spesso utilizzato come frontiera, limite assoluto di un concetto. La mente corre a Paul Klee, a Nicolas de Stael o alla incredibile abilita' di Vincent Van Gogh nell'utilizzo dei verdi. Parimenti Ballantini ci trascina con il suo talento estrapolando l'espansivita' del giallo, intensa e violenta come una colata di metallo fuso, per farne preciso confine ai propri pensieri.