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Critiche
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2006
Sulla fine del mito
di Luciano Lepri
Circa un secolo fa, esattamente nel 1908, Umberto Boccioni, da poco trasferitosi a Milano, dipingeva “Periferia”, sicuro preludio a quell’autentico inno al progresso e a tutti i suoi simboli, dalle ciminiere ai cantieri, dal traffico alle costruzioni che si espandono verso le periferie inglobando campagna e casolari, che e' il dipinto del 1910 “la citta' che sale”, cui seguiranno altri significativi dipinti, di altrettanto grandi autori, sempre inneggianti alla citta', tra cui “La stazione di Milano” del 1911 di Carlo Carra' e, sempre dello stesso anno “La citta'” di Robert Delaunay. Ebbene oggi, a quasi cento anni da quella infatuazione collettiva, dalla formulazione di quella grande speranza, un altro pittore, Dario Ballantini, ci presenta nei lavori del ciclo titolato “Fine del mito”, il crollo di quelle speranze, la fine di quella infatuazione, il cessare, anzi, lo sfaldarsi e lo svanire di quel sogno cosi' vitale e dinamico. Sono quadri, questi di Ballantini, dalla notevole forza espressiva e comunicativa in cui la denuncia per cio' che di degradato e degradante presenta la citta', senza dubbio, una occasione persa, una opportunita' sfumata tutta da ricostruire e rifondare. Anche in questi lavori ci sono le ciminiere, ci sono le case che hanno inglobato la campagna, il lavoro dell’uomo ed i suoi animali, c’e' il dinamismo e la vitalita', ma tutto cio' non e' piu' avvolto, dalla forza luminosa e speranzosa del colore e della luce, tutto cio' e' come oppresso, soffocato e distrutto dalla cupezza dei toni, dalla incisiva forza del segno, dalla energetica e straniante forza della composizione in cui impera l’uomo, abbruttito e perfido, nel suo cinismo e nella sua mai sazia superbia, un uomo che, mostro tra i mostri, si trova a dover perire nelle macerie del suo sogno, della sua infranta speranza, della sua metropoli con la quale intendeva sostituire la natura e le sue regole. Con "Fine del mito" Dario Ballantini, mi pare che chiuda in maniera definitiva, dopo un secolo, quel ciclo iniziato da Bocconi 1908 in cui piccoli, dinamici e volenterosi uomini si recavano nelle periferiche carichi di speranza per costruire case su case, e che oggi, nel lavori del bravo artista livornese vede gigantesche figure di uomini-robot dare il colpo definitivo a quelle case, a quelle ciminiere, a quegli anonimi condomini, colando a picco con essi, perdendosi a andando in rovina in una sorta di catarsi, sicuramente purificatrice, chissa' se anche redentrice.